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09/02/2012LA SOLITUDINE DEL COMANDANTE: Una imprescindibile realtà o una tradizione da cambiare?
La vicenda di Francesco Schettino, Comandante della Costa Concordia, ha messo in luce quella solitudine che solo il Comandante di una Unità, sia essa navale, aerea o militare in battaglia, può sperimentare.
Premetto che queste considerazioni si basano su quanto ricostruito dalle inchieste giornalistiche e da quanto trapelato dalle deposizioni presso la Procura. Come noto a chi si occupa di investigazioni, queste non sono fonti particolarmente attendibili, ma, scremate dalle “infiocchettature” dettate dalla necessità dei mezzi di comunicazione di fare “elevati ascolti”, consentono di formulare alcune ipotesi e valutazioni.
Non considerando le responsabilità penali e civili, di cui si occuperà la magistratura, nessuno, in questi giorni, ha messo in dubbio come le decisioni prese nella sera della sciagura, e le relative responsabilità, fossero esclusivo appannaggio del Comandante del vascello:
– sua la decisione di passare così vicino all’isola del Giglio;
– sua la decisione di deviare manualmente dalla rotta pianificata (0.5 miglia nautiche) ed avvicinarsi ulteriormente alla costa (0.28 miglia);
– sua la decisione di ritardare la richiesta di soccorso e di mentire inizialmente alla Guardia Costiera (solo un blackout);
– sua la decisione di ordinare l’evacuazione della nave dopo circa un’ora, anche se forse fu anticipato dal qualche membro dell’equipaggio;
– sua infine la decisione di lasciare il suo posto prima che tutti gli altri fossero in salvo, così come da secoli la tradizione marinara impone.
In alcune interviste televisive alcuni esperti rappresentanti la Marineria italiana hanno più volte definito la figura del Comandante come: “il Dominus della nave”. Tale definizione di derivazione latina indica, in diritto Romano, colui che esercita la proprietà, il padrone. Se ne deduce che quando pensiamo ad un Comandante di una unità come la Concordia pensiamo al padrone, in senso lato, del vascello e di tutto quanto in esso contenuto, passeggeri ed equipaggio compresi. Questa percezione è talmente forte da risuonare nelle dichiarazioni dei membri dell’equipaggio presenti in plancia ed in sala macchine quando raccontano di come il Comandante Schettino, pur essendo stato tempestivamente informato della grave compromissione dello scafo, abbia lasciato trascorrere circa quaranta minuti prima di impartire l’ordine di evacuazione e sia rimasto, per tutto il tempo, al telefono impegnato in conversazioni con persone a terra. Tutto ciò benché fosse a tutti estremamente chiara la situazione di imminente pericolo.
Un uomo solo nel momento solitario della decisione per cui era stato selezionato ed addestrato per tutta la vita. Solo… o no?
Provate per un attimo ad immaginarvi sulla plancia, quella maledetta sera, dal basso di tutta la vostra totale inesperienza: avreste aspettato quaranta minuti per avere un ordine? Lo avreste sollecitato prima? Molti penseranno: panico! Noi siamo degli inesperti, i veri professionisti non si fanno prendere dal panico… VERO! Ma esiste un modo diverso di affrontare l’argomento.
Dalle regole di comando della marineria anche l’aviazione ha tratto i suoi modelli di gerarchia e comando e questi hanno funzionato fin quando lo studio di alcuni incidenti ha portato a ripensare tutta la materia in modo differente.
Un esempio per tutti. Il 24 Febbraio 1989 un Boeing 747 Jumbo della United Airlines era in volo da Honolulu a Sidney quando un portello del vano bagagli si aprì generando una “decompressione esplosiva” che aprì un ampio squarcio nella fusoliera. Da tale apertura furono risucchiate fuori tre file di tre sedili ed i relativi occupanti, i detriti furono aspirati dai Nella concitazione dell’emergenza, con il velivolo strutturalmente danneggiato e metà della potenza disponibile (due motori su quattro) il Comandante annunciò la sua intenzione di tentare un ammaraggio in mezzo all’Oceano Pacifico. Fu subito chiaro al Secondo Pilota ed al Terzo Ufficiale che questa manovra avrebbe portato al rapido affondamento dell’aereo ed alla probabile morte di tutti i suoi occupanti. I due, invece, erano persuasi del fatto che fintanto che il velivolo fosse stato controllabile, benché con grande difficoltà, valesse la pena tentare di condurlo il più vicino possibile alla costa delle Hawaii dove i soccorsi avrebbero avuto più “chance” e meno distanza da percorrere per raggiungere eventuali sopravvissuti. Avrebbero potuto obbedire supinamente agli ordini del proprio comandante, oppure tentare un vero e proprio ammutinamento, estromettendo il comandante e mettendo in pratica il loro piano. Provarono invece una terza via: avevano bisogno dell’esperienza e della manualità del Comandante per cui semplicemente lo convinsero a tentare, insistendo e suffragando la loro tesi con la forza dei propri argomenti. Giunti in prossimità dell’aeroporto di partenza fu chiaro come si potesse tentare un atterraggio, questo avvenne senza ulteriori inconvenienti e salvò tutti gli occupanti. Salvò anche il relitto che fù, così, a disposizione per lo studio delle cause scatenanti l’incidente e permise di individuare un difetto al sistema di bloccaggio del portello permettendone la modifica su tutti i Jumbo a livello mondiale e salvando così altre vite.
Quello che è accaduto in quella cabina di pilotaggio è oggi argomento di studio per i piloti di tutto il mondo, una materia obbligatoria conosciuta come C.R.M., Crew Resouces Management. Ovvero l’applicazione pratica del Teamwork (il lavoro di squadra) agli equipaggi di volo.
La figura di Comandante come Dominus di una nave ha un fondamento storico che risale alla notte dei tempi: pochi uomini sapevano navigare e condurre a destinazione in sicurezza il proprio armamento. La maggior parte dei marinai del tempo era fatto di gente con una scolarizzazione minima se non nulla, per non parlare di quando era fatta di galeotti. Oggi, grazie a Dio, non è più così.
Fin dalla notte del 13 Gennaio, da persona che si occupa di C.R.M. da qualche tempo, una domanda mi assilla: Schettino era forse solo in plancia? No!
Vicecomandante, Primo, Secondo e Terzo Ufficiale in vari momenti hanno interagito con lui, cosa hanno detto e fatto? Dalle loro dichiarazioni, se confermate come riportate dagli organi di stampa, appare come, benché fossero coscienti della grave situazione, abbiano “atteso” che il loro Dominus prendesse una decisione per quaranta minuti!
E se invece lo avessero sollecitato? Se gli avessero tolto dall’orecchio il telefonino dicendo:
“Guarda Francesco sono preoccupato per la situazione. Abbiamo cinque compartimenti allagati e tu sai che la nave può reggerne solo tre. Abbiamo quattromila persone da salvare, fintanto che ne siamo in grado, devi prendere una decisione e devi farlo ora!”
Probabilmente non sarebbe cambiato nulla, la storia con i ma ed i se non si scrive questo lo so. Ma forse oggi il mondo dell’aviazione può ripagare il debito che ha con quello della marina aiutandolo a ripensare i propri modelli di comando in chiave moderna. Del resto è assolutamente inutile avere gioielli di nave con dispositivi e tecnologie all’avanguardia se il modello di comandante è fermo a quello del Bounty e quello dei suoi collaboratori a quello della recluta.
Autore: Coppola Luca